venerdì 11 novembre 2011

Ciao amore,
sono le venti e trentotto di questo venerdì sera passato tra i libri che ti scrivo con la tua felpa addosso - non è più la stessa cosa, da quando non ha più il tuo profumo.
Stamattina ti pensavo moltissimo, in mezzo a tutte queste persone che di farla finita di seminare, nelle loro conversazioni, riferimenti a quella che è stata la nostra vita non ne vogliono proprio sapere, e con la bocca asciutta pensavo a quanto siano strane quelle volte in cui saluti una persona e non sai che è la tua ultima occasione, che non succederà mai più, che tutto quello che vuoi dire dovresti vomitarlo fuori nel giro di dieci minuti, sarebbe meglio, eppure.
Eppure io quel giorno ti ho detto ci vediamo domani e domani ancora deve arrivare, son passati ottocentosettantasei giorni e ancora non è sorto questo famigerato domani, son passati ottocentosettantasei giorni e ancora di aspettare di poterti sorridere non ho smesso.
Amore, ti ricordi quel giorno di marzo che abbiamo preso il primo treno direzione Firenze, ed io ti ho detto 'Ma se mi beccano che ho saltato scuola? Io non le ho mai fatte queste cose', e tu mi hai risposto ma a te davvero importa cosa dicono, se passi un giorno con me? Avevi un certo talento per le domande.
Stamattina mi stavo ricordando la musica della pioggia su Ponte Vecchio, e quella sensazione meravigliosa del vento caldo nei capelli e le mie mani nelle tue e il mio cuore nel tuo e, in generale, io in te, fiduciosa nel tuo mai perdermi o danneggiarmi - beffardo, a volte, il destino.
Mi chiedevo, persa nel fumo di una Chesterfield rossa fumata in cortile mentre altri cinquecentonovantanove studenti ridevano e scherzavano ed io un po' stonavo con la mia aria malinconica, se potessimo magari ripetere l'esperienza, prima o poi, e di nuovo potermi sentire a casa in una città che mai sarà la mia, ma non importa, perché c'eri tu, e tu spiegami io adesso come mai farò a sentirmi davvero al sicuro, davvero protetta, davvero io.
Amore, il pensiero di te è sempre più dolce, nonostante il retrogusto amaro della tua assenza che (forse) gradualmente smette di ossessionarmi, ora che un po' ci ho fatto l'abitudine, a questa cosa del voltarmi e non vederti, del chiamarti e non trovarti, dell'amarti e non doverlo fare, ma scriverti è sempre per me una necessità, per non dovermi sentire costantemente sotto l'effetto di un'invisibile pressa che tenta di sbriciolarmi la cassa toracica per raggiungere i miei organi interni dove ancora, nonostante tutto, nonostante il tempo, nonostante il mondo, ci sei tu.

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